cacioman

sorrisetti

della serie “in piazza” - mag 25

Roma, Piazzale Aldo Moro, manifestazione per “l’autodeterminazione delle persone trans, intersex e non binarie”.

Arrivo una mezz’ora prima della partenza. Sono ancora in pochi, anzi poch* , che sembrano anche di meno perché dispers* sullo spiazzone metafisico davanti a La Sapienza.

Una decina di ragazz* stanno davanti ai cancelli che armeggiano intorno al camioncino dell’amplificazione mentre il grosso, circa un centinaio, se sta riparato sotto l’ombra a ridosso di un muro di cinta dall’altra parte dello stradone. In direzione Policlinico si intravedono dei poliziott* , poch* e poco convint* , insieme a una mezza dozzina tra fotograf* e videomaker, professionist* e non.
Arriva un Doblò d’annata, sono padre e figlio che fanno scuola guida, hanno le espressioni di malcelato disappunto: per quella domenica pomeriggio contavano su una piazza ancora più vuota.

Per un’oretta rimaniamo così: poch* , sotto il sole e un po’ spallat* .
Mano mano però ci rimpolpiamo e andiamo tutt* a convergere intorno al camioncino. Saremo trecento quando dalle casse acustiche annunciano l’inzio dei giochi. Tra l’altro si raccomandano coi fotografi di non ritrarre le persone senza il loro consenso o escludendole dal contesto ambientale: “non siamo fenomeni da baraccone”. Sopratutto ricordano di non fotografare minori. Questo ce lo vengono a dire anche di persona, in modo gentile e argomentato: per i minori la diffusione delle foto in rete può danneggiarli parecchio in un momento delicato della loro vita. Hanno ragione.

Punto la macchina fotografica palesemente sopra le teste di un gruppetto di ragazz* sui venticinque-trenta: vorrei fotografare la loro bandiera trans (celeste, rosa e bianca) con sullo sfondo i motti fascio-latini scolpiti sul frontone de La Sapienza. Foto sul retorico ma dopo tutto mica sono Salgado e poi sicuro che la cancellerei. Non la faccio comunque: inaspettatamente quell* del gruppetto mi sparacchiano un paio di schizzi con una pistola ad acqua. Capisco il messaggio e lascio perdere.

Intanto sul camioncino-palco sale Simonetta Musitano, una standup comedian molto energetica. Insieme ad una traduttrice in simultanea del linguaggio dei sordi, fanno una loro bella performance, sopratutto vivace. Sono un’accoppiata perfetta e io faccio un casino di foto.

Improvvisamente mi rendo conto che saremo arrivati già ad un migliaio di persone. Ora c’è anche un numero congruo di poliziotti e qualche altro fotografo in più. Partiamo.

Il camioncino fa una conversione a U e per riagganciarsi, in direzione via Tiburtina, coi ragazz* che portano un mega-striscione celeste-rosa-bianco, anche loro alle prese con una lenta manovra. Mentre fotografo quell* dello striscione che mi sfilano davanti, arrivano quell* del gruppetto delle pistole ad acqua.
Hanno un sorrisetto spavaldo, mi dicono che quello che faccio mica è bello: bisogna fotografare solo con l’esplicito consenso delle persone. Replico che se è per questo non è bello neanche schizzare le persone e che comunque non faccio niente di illegale: fotografo maggiorenni nel contesto di una manifestazione pubblica avendo comunque cura di non fare foto invadenti o lesive. Mi dicono che non è un problema di legalità è un problema morale: “devi avere l’autorizzazione”. Spiego che anche volendo, nel contesto di una manifestazione è tecnicamente impossibile. “E allora non fare foto!” Se vabbè… “Ma perchè lo fai?” Lo faccio per documentare. “Vai al Pride allora!” e qui capisco che per quell* dur* e pur* il Pride è considerato parecchio smignottato. Facciamo un altro paio di scambi di questo tenore poi un* di loro sentenzia: “questo corteo non la considera una persona gradita” . Ci lasciamo senza ulteriori strascichi anche se poi per tutto il corteo me ne ritrovo sempre uno o due attorno. Ma forse sono io che sono paranoico ed è semplicemente che il corteo non è immenso e ci si rincontra tutti. Del resto non sono neanche così molesti: ce n’è solo un* che quando mi vede trova divertente tenere la sua bandiera davanti alla mia fotocamera, ma dopo un po’ di ‘sto giochetto smette.

Passando per San Lorenzo aumentano parecchio le persone nel corteo, quando arriviamo all’Esquilino saremo sui tremila. Qui mi accorgo dei sorrisetti di sufficienza che fanno le persone dai marciapiedi mentre ci guardano passare. Appena fuori dal tunnel di Santa Balbina è tutta una parata di ragazzi stranieri usciti dai negozi etnici a telefoni spiegati. Penso mandino foto e video agli amici rimasti dall’altra parte del pianeta globale, immagino sia per confermare l’irreversibile decadenza dell’occidente.

Non sono solo gli stranieri a divertirsi, un italianissimo signore mi chiede per cosa mai sia quel corteo. Gli dico che è una manifestazione dell’orgoglio trans. Me lo richiede. Glielo ripeto. Mi fa un sorrisetto beffardo cercando con me un’intesa. A questo punto devo per forza dirgli che non c’è proprio niente da ridere, lo dico a brutto muso e mentre lo faccio penso: “non c’ho buscato prima da quelli delle pistole ad acqua vedi se devo rimediarci adesso da questo!..” . Anche qui non succede nulla, neanche un italianissimo vaffa.

Quando arriviamo a piazza Vittorio, è pieno di gente del quartiere a zonzo per la domenica pomeriggio. Noi e loro ci mescoliamo insieme in un grande tripudio di visioni ortogonali dei diritti individuali: altri giovani immigrati a telefonini spiegati, pensionate italiane un po’ di paese con espressioni sullo sconcertato genere “dove andremo a finire con tutto questo nudismo?!”, famigliole musulmane con madri intabarratissime, quasi incappucciate, e bambini scatenatissimi in libera uscita.
Fa pensare a quei liquidi dai colori fluo che andavano di moda un tempo per fare le clessidre, quelli liquidi che non si mescolavano mai e rimangono sempre come a gocce separate. Insomma c’è ancora molto da lavorare.

Questa volta non metto in rete le foto che ho fatto (non è una gran perdita).


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