cacioman

guardare gru che crescono

della serie “village photography” - feb25

Qui, in ogni ogni paese ci sono sempre delle gru che spuntano dai cantieri della ricostruzione del sisma del 2009. Velocemente ti fai una cultura in gru. Ci sono quelle a cuspide (le classiche gru che conoscono tutti col traliccio della torre che forma una croce col braccio di carico e dalla cui punta partono una serie di tiranti di raccordo), poi le cosiddette top flat (semplicemente non hanno la cuspide, sono più facili da montare ma lavorano con carichi più leggeri) infine le gru automontanti (si tratta di piccole gru che hanno integrato un sistemi di trasporto a traino e si aprono in altezza come se fossero dei trasformer; si usano nei centri storici dove l’altezza massima di lavoro non è elevata e dove c’è poco possibilità di fare una basamento).
Per fare il basamento di una gru scavano una buca quadrata di quattro metri di lato e profonda un paio. Dentro ci costruiscono un reticolo fitto di tondini di ferro che poi la vanno a riempire di calcestruzzo. Scodellate e scodellate di calcestruzzo fino a farlo diventare un blocco di cemento armato di una trentina di metri cubi. Rimangono fuori solo 4 spuntoni di acciaio, sono quelli ai quali imbullonare la gru.
E’ a questo punto che arrivano quelli del noleggio gru: una squadra di operai specializzati con vari camion di tralicci, bracci meccanici telescopici e tutto il resto. Sembrano tipo della PlayMobil: camion tirati lucido, tute e divise in ordine, molto compenetrati nel ruolo di quelli che in un paio di giorni chiudono la partita.

Incontro una di queste squadre che ha appena iniziato il montaggio e sta imbullonando sul basamento di cemento delle grosse travi in acciaio a doppio T. C’è un silenzio sacro interrotto solo dai clack dell’Hasselblad e dai penetranti biip di sicurezza del braccio meccanico.

Il capo squadra è un uomo sui trentacinque, espressione simpatica. Lo fotografo alla maniera di Italians di Giancarlo Rado: piano americano, sguardo in macchina, montagne sullo sfondo, espressione consapevole. Non basta ma è un buon inizio.
Lui e la sua squadra sono molto contenti che li stia fotografando, lui anzi mi incoraggia: “Poi ci mettiamo d’accordo” mi dice. Ma no dai, è tutto gratuito, io seguo un altro flusso: faccio foto, stampo foto, consegnato foto. Che poi sarebbe il metodo Giancarlo Rado che però è più zen e filosofico.
Lui insiste. E’ un hobby, spiego, se fosse un lavoro mi passerebbe subito la voglia di farlo. Ci crede, ma ho l’impressione che ora mi scambi per uno di quelli che guardano i cantieri (il che in un certo senso è vero anche questo).



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